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E' il comportamento a rendere il contesto osceno
Esibire un pene di gomma non è molestia
(Cassazione 880/2000)

Le rappresentazioni falliche – siano esse caricature, graffiti o riproduzioni in gomma dell’organo maschile – non possono essere ritenute di per sé offensive del comune senso del pudore. Il singolare principio è stato affermato dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna a due mesi di reclusione e quattro milioni e mezzo di multa inflitta dalla Corte di Appello di Torino a un alto funzionario di polizia, sorpreso a molestare le passanti mostrando loro, dalla macchina, un enorme fallo di plastica. L’uomo, dopo aver richiamato l’attenzione delle donne, le apostrofava con volgari allusioni. Tutto questo ha portato la Cassazione a confermare la condanna all'uomo per atti osceni, sebbene condividendo, in parte, le argomentazioni dei difensori dell’imputato volte ad evidenziare come la mera dimostratività, fondata su esibizione fallica (plastica "di impossibili dimensioni") non appaia suscettibile di offendere il comune senso del pudore (come sarebbe invece avvenuto in caso di ostentazione del nudo "vivente"). La Suprema Corte rileva inoltre che l’ampia diffusione di rappresentazioni "falliche" nella tradizione goliardica carnascialesca, o anche teatrale e cinematografica – per non parlare delle raffigurazioni sui muri delle nostre città e degli oggetti "similari" in vendita nei negozi – ha "devitalizzato" e "svirilizzato" la rappresentazione grafica, disegnata o pittorica del sesso maschile, che oggigiorno non offende più nessuno; tale rappresentazione è anzi quasi sempre "giocosa, burlesca, simbolica e richiama, talvolta, sapidi umori di vena popolare". In questo caso, tuttavia, l'atto è stato considerato osceno in quanto l'esibizione era accompagnata da chiare allusioni sessuali. (La Repubblica, 11 febbraio 2000)

Sentenza della Terza Sezione Penale n. 880/2000 depositata il 27 gennaio 2000.

La Corte suprema di cassazione sezione III penale

(…)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da P. P. Alessandro.

Avverso la sentenza 15 Marzo 1998 della Corte di Appello di Torino.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Guido De Maio;

MOTIVAZIONE

P. P. Alessandro fu rinviato al giudizio del Pretore di Torino perché rispondesse dei reati di cui agli artt.:

A) 527, 61 n. 9 c.p., perché, su una vettura targ. AB 223 VF parcheggiata sulla pubblica via (luogo esposto al pubblico poiché è visibile ciò che accade all'interno) compiva atti osceni [1], in quanto, richiamando l'attenzione di V. D. Elena, che stava attraversando la strada, le mostrava un fallo di gomma di grosse dimensioni che teneva in mano e fuoriuscente dalla cerniera dei pantaloni;

B) 660, 61 n. 9 c.p., perché con la condotta di cui al capo A, per petulanza o altro biasimevole motivo, recava a V. Doriana Elena molestia e disturbo, fatti sub A e B commessi in Torino il 7.7.96;

C) 527, 61 n. 9 c.p., perché, a bordo dell'autovettura di cui al capo A, seguendo M. Anna, che stava camminando a piedi sul marciapiedi di corso Principe Oddone, dopo averla affiancata, compiva atti osceni in luogo pubblico (essendo chiaramente visibile ciò che accadeva attraverso i finestrini), in quanto guardandola insistentemente, con la cerniera dei pantaloni aperti, si masturbava;

D) 660, 61 n. 9 c.p., perché, con le modalità descritte nel capo C, per petulanza o per altro biasimevole motivo, recava a M. Anna molestia o disturbo, fatti sub C e D commessi in Torino il 10.6.96 e tutti con violazione dei propri doveri della sua funzione di Funzionario di Polizia con qualifica di Vicequestore.

Con sentenza in data 29.7.97 del suddetto Pretore, il P. fu condannato, con le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p., alla pena di mesi due di reclusione (sostituita con lire 4.500.000 di multa) perché riconosciuto colpevole dei reati, unificati in continuazione, di cui ai capi A) e C), esclusa l'aggravante contestata; con la sentenza stessa, venne dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale in ordine ai reati sub B) e D), esclusa l'aggravante contestata, perché estinti per oblazione.

Su impugnazione dell'imputato, la Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 15.3.99, confermò la decisione di primo grado.

La sentenza di appello è stata impugnata con ricorso per cassazione dal difensore dell'imputato, il quale ha, con unico motivo, denunciato violazione degli artt.129 C.P.P. e 527 c.p., sotto il profilo che "la mera dimostratività, fondata su esibizione fallica (plastica di impossibili dimensioni)... non appare suscettibile, obiettivamente, di attingere la soglia di compromissione del bene protetto dalla norma", in quanto "l’attività erotizzante ... non sembra realizzarsi se non merce ostentazione del nudo, per dir così, vivente". In relazione a tale motivo di ricorso, è, innanzi tutto, necessaria una precisazione: il ricorso, nei termini in cui è stato formulato e qui riportati nella loro essenzialità, investe solo l'episodio del 7.6.96, in quanto nel secondo episodio del successivo giorno 10 fu dall'imputato attuata (così come contestato al capo C della imputazione) l'esibizione, per adoperare l'espressione del ricorrente, del nudo vivente, con contestuale masturbazione. Ne deriva che l'affermazione di responsabilità, relativamente a tale capo dell'imputazione non investita dal motivo di impugnazione, è passata in giudicato e, in quanto tale, non è più discutibile in questa sede.

Quanto, invece, alla imputazione sub A), l'osservazione sopra riportata contenuta nel ricorso, coglie, in parte, nel segno, pur essendo innegabile che integra tutti gli estremi del delitto di cui all'art. 527 c.p. il fatto ivi contestato ("in quanto, richiamando l'attenzione di V. Doriana Elena, che stava attraversando la strada, e dicendole: "Ti piacerebbe", le mostrava un fallo di gomma di grosse dimensioni che teneva in mano e fuoriuscente dalla cerniera dei pantaloni"). In effetti, le rappresentazioni falliche (soprattutto se, come nel caso in esame, caricaturale, iperbolica, scherzosa) non può modernamente essere ritenuta di per se offensiva del comune sentimento del pudore, in relazione all'ampia e notoria diffusività delle stesse: è sufficiente pensare a rappresentazioni di tal genere nella tradizione goliardica, carnascialesca, o anche di genere teatrale o cinematografico, ai tanti murales nelle nostre città, agli oggetti similari in libera vendita nei negozi ... Tale ampia diffusività ha devitalizzato, e sarebbe il caso di dire sviriilzzato, la rappresentazione grafica, disegnata o pittorica del sesso maschile, che oggi giorno non offende più nessuno e tanto meno il sentimento medio del pudore dei consociati; essa è quasi sempre espressione giocosa, burlesca, simbolica e richiama. talvolta, sapidi umori di vena popolare. Occorre, per contro, prendere atto che, in questi tempi di così crasso materialismo, è andato completamente smarrito il senso religioso delle antiche falloforie.

Le proposizioni sopra citate del ricorrente sono invece in duplice senso giuridicamente infondate: lo sono, innanzi tutto, nella parte in cui ricollegano l'oscenità esclusivamente al nudo vivente: tale assunto è indiscutibilmente in contrasto con il dato normativo che. all'art. 529 c.p., riferisce l'oscenità sia agli atti che agli oggetti ("agli effetti della legge penale si considerano osceni gli alti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore"); sotto l'indicato profilo dell'oscenità. quindi, l'oggetto ne concretizza l'aspetto statico, gli atti quello dinamico.

Tale connotazione dinamica della nozione di oscenità (trascurata dal ricorrente, che ha fermato l'attenzione sul solo oggetto, il che configura il secondo aspetto di inadeguatezza delle osservazioni) era ben presente al legislatore, se nella Relazione ministeriale del progetto del codice penale, II pag. 213, era testualmente detto che "l'atto richiede un fatto che si concreti in una manifestazione positiva, in un agere, in un facere, onde resta escluso dalla nozione del reato di atti osceni un semplice contegno passivo". E, nel caso in esame, proprio una tale connotazione dinamica coinvolgeva l'oggetto, neutro dal punto di vista dell'oscenità in considerazione della rappresentazione iperbolica e caricaturale, nel comportamento indiscutibilmente osceno dell'imputato (il quale, inserito il grosso fallo nei pantaloni e richiamata l'attenzione di una donna di passaggio, diceva alla stessa, indicando l'oggetto: "Ti piacerebbe").

In siffatta linea di discorso va inquadrato il successivo passo della censura, secondo cui "ogni imitazione, specie se ipertroficamente rappresentata, pare porsi tra attuazioni solo associabili ad intenti di dileggio, come la parola, il disegno, la fiction palesemente, caricaturalmente mimata, il tutto esente dall'impegno diretto della persona fisica, essenziale ai nocumenti che la norma intende specificamente evitare e che non possono, appunto, determinarsi ove la manifestazione si connoti per irriconducibilità a realtà naturale". A parte il ribadito riferimento all'impegno diretto della persona fisica (la cui pretesa indefettibilità si è vista inequivocabilmente smentita dal dato normativo), la rilevanza dell'osservazione è, anche qui, non pertinente per il suo riferirsi esclusivamente all'oggetto, invece che al complessivo comportamento dell'imputato, alla luce del quale l'oggetto stesso, inserito nella dinamica dell'azione, diventa una delle componenti dell'atto osceno. Ed invero, l'intento di dileggio è chiaramente escluso dal fatto (accertato) di richiamare l'attenzione di una donna, dopo aver inserito il grosso fallo di plastica nei pantaloni, e di dire alla stessa, "ti piacerebbe", con volgare allusione alle dimensioni dell'oggetto e alle propensioni sessuali rozzamente attribuite alla donna stessa; il contesto rende, inoltre, non rilevante la stessa irriconducibilità a realtà naturale, caricandola, invece, di intenti chiaramente allusivi e indiscutibilmente impudichi (per l'immediatezza del richiamo alla sfera sessuale e ai connessi atti di fruizione). L'azione incriminata, in definitiva, ha la piena attitudine o idoneità a cagionare la reazione psichica corrispondente all'offesa del sentimento del pudore proprio della generalità della nostra popolazione in questo determinato momento storico, nel che si concretizza il reato di cui all'art. 527 c.p. Trattasi di reato di pericolo, e non di danno, la cui realizzazione è stata determinata dall'oscenità intrinseca agli atti posti in essere dall'imputato, ravvisabile nella loro idoneità oggettiva all'offesa della morale e del sentimento di pudore altrui in relazione alle condizioni di ambiente, di tempo e di persona.

Dovendo, quindi, sulla base dei rilievi che precedono, ritenersi infondate le censure mosse, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna alle spese.

P. Q. M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Cosi deliberato il 9.12.99

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 2000.


  1. L’art.527 del codice penale punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni. Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore (art.529 c.p.).

 

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