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Alcuni dei reati penali minori, come l'ingiuria, le lesioni semplici, il furto a seguito di querela di parte, la guida in stato di ebbrezza o gli atti contrari alla decenza, saranno affidati alla competenza del giudice di pace. Lo stabilisce il decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 25 agosto 2000, che entrerà in vigore 180 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Si tratta di un novità che completa la riforma del giudice unico di primo grado, e che dovrà avere un effetto deflattivo sulla macchina della giustizia italiana. All'insegna della semplificazione, il decreto legislativo introduce anche la possibilità, per l'offeso, di presentare direttamente al giudice di pace la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere contro chi ha commesso il reato. Più snelle anche le procedure per le indagini giudiziarie, che la polizia dovrà svolgere in un arco di tempo non superiore ai 4 mesi. Dopo la prova data nel settore civile, dunque, tocca ora ai giudici di pace concorrere a una giustizia penale più rapida e più efficace. Facendo leva su sanzioni alternative come le pene pecuniarie, i lavori socialmente utili, l'obbligo di non uscire di casa nei fine settimana. (La Repubblica del 29 agosto 2000)


Ai giudici di pace i reati penali minori

(Dlgs. CdM. 25.8.2000)


 

Una legge innovativa
Da un decreto legislativo che disciplina la competenza penale del giudice di pace ci si aspetterebbe, trattandosi di un procedimento dinanzi ad un giudice onorario, un testo chiaro e semplice, di pochi articoli e di facile comprensione. Ma così non è. Il decreto legislativo 28.8.2000 n. 224, infatti, presenta ben 65 articoli e delinea una disciplina sostanziale e procedurale che esige attenzione e studio, e ciò sia per le numerose novità introdotte ( rispetto al tradizionale "sapere" penalistico ) che per la variegata procedura che lo stesso disciplina.
Tale complessità, tuttavia, non è un difetto. Dalla chiara ed esaustiva relazione che tale Decreto Legislativo ha accompagnato emerge come ogni scelta sia stata attentamente valutata e ponderata . Un giudice "particolare" quale è il giudice di pace esigeva, in una materia di notevole interesse sociale e costituzionale ( la pena e la sua applicazione) , una disciplina "speciale" che , in parte radicandosi nei codici ( penale e processuale) vigenti e in parte fortemente discostandosi , non poteva non essere articolata, puntuale ed analitica. Va pure evidenziato come il carattere "bagatellare" dei reati di competenza del giudice di pace e la circoscritta incidenza della relativa competenza nell'economia complessiva del diritto penale hanno indotto il legislatore a recepire e codificare alcune significative innovazioni che finora erano state solo oggetto di confronto e discussione nell'ambito dell'interessante dibattito dottrinale che, de iure condendo, da tempo anima gli studi penalistici.
Un paio di esempi : a) l'abolizione della sospensione condizionale della pena (art. 60) , e ciò non come scelta ideologica per un ( presunto) massimo deterrente generalpreventivo, ma solo in funzione di favorire che l'imputato, conservando ogni suo diritto, opti per scelte procedimentali alternative ( e deflattive) in tal modo consentendo che la pena eventualmente comminata sia effettiva e non virtuale, com'è invece oggi in gran parte dei casi; b) la esclusione della procedibilità in caso di particolare tenuità del fatto ( art. 35) , rimediandosi in tal modo alla forbice che non di rado si verifica tra la intuitiva inoffensività ( o quasi) del fatto e l'astratta fattispecie del precetto violato, quest'ultimo talvolta ampliato da interpretazioni giurisprudenziali estensive il cui estremo rigore è contemperato da una speculare prassi giudiziaria per lo piu' lassista nella misura delle pene comminate e nella effettività delle stesse (si pensi alla facilità con cui viene riconosciuto il reato continuato o alla concessione della sospensione condizionale della pena spesso piu' frutto di automatismo che di reale valutazione prognostica)
Un giudice di pace-laboratorio
Dunque, un giudice di pace-laboratorio di istituti ed esperienze che potrebbero, se positivamente sperimentate, essere allargate ed estese anche al giudizio ordinario. In tal senso, ad esempio, la commissione Grosso, incaricata della redazione di un progetto per un nuovo codice penale, ha introdotto tra le pene anche quella della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità ( per lo piu' simili a quelle di cui agli artt. 53 e 54 del D. L.vo n. 224) ed ha condizionato il beneficio della sospensione condizionale alla sussistenza di piu' requisiti , in particolare in caso di reiterazione del beneficio. In questa ottica , un fallimento del giudice di pace sarebbe di ostacolo ad una incisiva riforma dell'insieme del sistema penale e processuale orientata verso un diritto penale minimo e caratterizzata dalla necessaria offensività del reato, da una tendenziale effettività della pena, da equità del processo, il tutto in un quadro di efficienza dell'apparato giudiziario.
È, ovviamente, troppo presto per poter fare una qualsiasi fondata previsione sul giudice di pace penale , ma la validità dei principi ispiratori e la coerente architettura procedimentale messa in atto non sono sicuri indici di una positiva riuscita della esperienza. Come non ricordare l'entusiasmo, al varo del nuovo codice di procedura penale, circa i riti alternativi premiali (patteggiamento, giudizio abbreviato) che avrebbero dovuto lasciare al vaglio dibattimentale solo un dieci per cento dei procedimenti ( questa era la diffusa opinione di allora) , previsione questa che è stata vieppiu' smentita dalla dura realtà degli uffici giudiziari sovraccaricati, quasi fino al collasso, di procedimenti e dibattimenti, specie nell'allora ufficio pretorile. L'impianto "accusatorio" del codice di rito, anch'esso oggetto di tanto plauso, è stato per varie vie ( giudiziarie e legislative) messo a dura prova e tuttora continua a vivere un suo travaglio in attesa di un soddisfacente equilibrio. Forte, quindi, è la preoccupazione che all'entusiasmo progettuale segua la dura replica dei fatti, cioè un giudice di pace penale che : a) archivierà ben poco; b) avrà i ruoli del dibattimento sovraccarichi e difficilmente gestibili; c) le udienze saranno piu' per gestire rinvii che di reale trattazione istruttoria; d) comminerà ( come già il Pretore) blande pene pecuniarie di ben poca efficacia dissuasiva. In sostanza, il rischio è che il giudice di pace assumerà proprio quella veste di "tigre di cartapesta" che la relazione al D. L.vo n. 244 paventa .
È probabile, quindi, che la sorte del giudice di pace penale, se cioè un giudice conciliativo-deflattivo o invece burocratico-formalista , dipenderà , al di là della mera lettera della legge e delle intenzioni del legislatore, dalle interpretazioni giurisprudenziali che di fatto si imporranno ( il c.d. diritto vivente) in relazione ad alcuni significativi articoli del decreto legislativo e dalla prassi ( cui tutti contribuiranno : cancellerie, giudici di pace, avvocatura) che si instaurerà nei singoli uffici. 
La improcedibilità per particolare tenuità del fatto
Un primo esempio : in base all'art. 34 nel corso delle indagini preliminari l'archiviazione per la particolare tenuità del fatto potrà essere disposta dal giudice "solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento". In sostanza, una querela in cui si dica di voler essere informati in caso di richiesta di archiviazione e ancor piu' laddove si espliciti che si ha un interesse alla prosecuzione del procedimento , interesse che può essere variamente motivato, anche in riferimento ad un favorevole giudicato (651 c.p.p.) da far valere in sede civile, dovrebbe essere piu' che sufficiente per impedire la richiesta di archiviazione per la particolare tenuità del fatto. In tal senso, sostanzialmente, sono le indicazioni provenienti dalla già citata relazione governativa al D. L.vo. La Commissione Giustizia del Senato, nel suo parere, aveva proposto di riscrivere la parte del comma in questione nei seguenti termini : " sempre che la persona offesa non si opponga , e in tal caso il suo interesse non sia stato o non possa essere altrimenti soddisfatto" . Tale suggerimento, non accolto , coglie un aspetto cruciale, e contraddittorio, della disciplina in esame che da un lato si propone intenti deflattivi e conciliativi, dall'altro assegna alla vittima di reati "ultrabagatellari" ( si tratta, infatti, di fatti-reato tenui in astratto ( l'ingiuria, la lesione lieve, ecc) e ancor piu' tenui nella fattispecie concreta ( quell'ingiuria, quella lesione) un potere di fatto interdittivo. Va qui sottolineato, infatti, che qualora la persona offesa ritenga il fatto non particolarmente tenue si opporrà, motivando, a tale erronea archiviazione, dirà cioè ( con l'atto di opposizione ; art. 17) che il fatto non è tenue e spiegherà il perchè. L'interesse di cui qui si discute non deve essere necessariamente prospettato ed enunciato con l'opposizione alla richiesta di archiviazione ma può essere fatto valere in qualunque momento ed in qualsiasi forma: si tratta di un interesse alla prosecuzione del procedimento nonostante la particolare tenuità del fatto ed il suo riconoscimento ( da parte del PM o del giudice di pace richiesto dell'archiviazione) ) serve per bilanciare e superare proprio tale particolare tenuità.
La proposta della Commissione Giustizia del Senato non è stata accolta in quanto, così si motiva nella relazione accompagnatoria, la incondizionata possibilità che la persona offesa ha di attivare in sede civile i propri diritti ( e ciò comporterebbe , quindi, l'archiviabilità penale del fatto) vanificherebbe la volontà della vittima. Il che è vero, ma per assegnare alla vittima un qualche ruolo propulsivo rispetto ad un fatto particolarmente tenue si è finito per assolutizzarne non solo la volontà ma la stessa veste poichè un interesse della vittima al giudicato penale è in re ipsa , specie se quella stessa vittima, com'è nella stragrande maggioranza dei reati di competenza del giudice di pace, ha già la facoltà, di cui non si avvale, di rimettere la querela. Si è rilevato, inoltre, che un ridimensionamento dell'interesse della persona offesa aumenterebbe il numero delle archiviazioni con la conseguenza che la "denegata" giustizia del giudice di pace penale finirebbe col gravare sulla giustizia civile. L'obiezione non pare convincente poichè non ad ogni archiviazione per improcedibilità seguirà una domanda al giudice civile in quanto il coinvolgimento emotivo ( a breve distanza dal fatto) e l'assenza di oneri ( andare dalla PG non costa nulla) facilitano la presentazione di querele, mentre , di regola, il costo del difensore per la citazione civile costituisce un forte deterrente alla proposizione dell'azione.
Dunque, poichè in gran parte dei casi un interesse della persona offesa finirà comunque per "risultare" , di fatto ben poche saranno le archiviazioni per la particolare tenuità del fatto. Se così sarà, l'intento deflattivo rimarrà, appunto, solo un intento ed il "bagatellare" , in tutta la sua imponenza quantitativa, dalle aule del Pretore è passato a quelle del giudice monocratico per approdare, in futuro, a quelle del giudice di pace.
Rispetto allo scenario sopra delineato, una possibile alternativa è costituita dalla valorizzazione dei termini "interesse" e "persona offesa": quest'ultima ( quando coincide con il danneggiato) non sempre e non necessariamente evolve (dopo l'inizio dell'azione penale) in "parte civile", da cui resta concettualmente distinta, per cui la focalizzazione dell'interesse sul solo versante economico e patrimoniale ( il danno e le restituzioni, come domanda innestata nel processo penale o successivamente ed autonomamente dopo quest'ultimo) pare riduttiva e fuorviante. L'interesse alla prosecuzione del procedimento è, come opportunamente si ritiene nella relazione al D. L.vo., un interesse all' accertamento processuale , non quindi, ci sembra di poter sostenere, ad una decisione concretamente o potenzialmente vantaggiosa per la persona offesa, ma al procedimento come luogo e strumento per la ricerca delle prove, il loro espletamento e la verifica della fondatezza del fatto asseritamente lesivo. Che l'inadagato-imputato venga punito se colpevole è , rimosso l'ostacolo della querela, interesse dello Stato e non della persona offesa. Che l'imputato risarcisca il danno può costituire un interesse della persona offesa ( se anche danneggiata) , ma si tratta di un interesse potenziale che sarà agito o meno solo se la persona offesa si costituirà parte civile o promuoverà all'esito del processo penale l'azione civile. Dunque un interesse potenziale, non un interesse attuale e concreto, o almeno attuale solo dando per certa e scontata la futura costituzione di parte civile. È l'inquadramento dell'interesse dentro la sfera giuridica di legittimazione della parte civile (art. 74 e ss c.p.p.) che suscita perplessità. Un interesse della persona offesa non può non collocarsi entro i diritti e le facoltà proprie di tale soggetto ( art. 90 c.p.p.), in genere di sollecitazione probatoria e dell'impulso processuale.
Un interesse concreto ed attuale ( sono questi i requisiti richiesti , in base alla costante giurisprudenza, per l' interesse ad agire ( 100 c.p.c.) o a impugnare; art. 568 c.p.p.) si può, ad esempio, ipotizzare in alcuni casi in cui il solo procedimento penale consente l' accertamento di determinati fatti o la immediatezza di tale accertamento. Alcuni mezzi di ricerca della prova e di prova sono attivabili solo nel procedimento penale ( intercettazione telefonica o ambientale, perquisizione, ricognizione) ed altri, pur avendo un equivalente nel giudizio civile, meglio e prima si prestano ad essere attivati in un procedimento già iniziato ed in corso: ad esempio, l'accertamento tecnico non ripetibile rispetto all'accertamento tecnico preventivo). In casi siffatti si può ritenere che sussista un interesse concreto, attuale ed apprezzabile alla prosecuzione del procedimento. Se poi si ritiene che un interesse così inteso sarà difficilmente rinvenibile nei casi concreti di competenza del giudice di pace e ancor di piu' in quelli che lo stesso Pubblico Ministero ritiene di particolare tenuità è affermazione vera ma che nulla toglie alla plausibilità e sostenibilità di una interpretazione siffatta che , rispetto all'altra ( un qualsivoglia generico interesse) , avrebbe il pregio, o il difetto ( dipende dai punti di vista e dalle valutazioni circa le conseguenze che si avranno in ordine al funzionamento degli uffici), di non esaltare oltre misura il ruolo e la volontà della vittima di reati bagatellari. L'esperienza dimostra, infatti, che il reato cosidetto bagatellare ( e oggettivamente di questo si tratta) non è tale , e comprensibilmente, per chi ne ha subito le conseguenze e che in genere è maldisposto a vedere qualificato come irrilevante o "tenue" un fatto che, non fosse altro perchè ha sporto querela, lo ha ferito e leso.
Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie
Altra definizione alternativa del procedimento è quella dell'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie ( art. 35) : l'imputato che, prima dell'udienza di comparizione, dimostra di aver provveduto alla riparazione del danno cagionato dal reato (mediante le restituzioni o il risarcimento ) , nonchè di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del medesimo reato può essere prosciolto per estinzione del reato, purchè però il giudice ritenga che le attività riparatorie e risarcitorie siano state idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione, requisito quest'ultimo finalizzato ad evitare comode monetizzazioni della responsabilità penale in assenza di qualsivoglia resipiscenza o di una qualche efficacia di prevenzione connessa alla condotta riaparatoria tenuta. È prevedibile che anche in riferimento a tale causa di estinzione si porranno, in gran parte dei casi di microconflittualità privata che sarà portata all'esame del giudice di pace, alcune questioni che a seconda della soluzione prescelta comporteranno o meno una reale deflazione della fase dibattimentale. È probabile che spesso, quando vi è la costituzione di parte civile, si verificherà una forbice tra le richieste del danneggaito e ciò che l'imputato è disposto a concedere, e questo attiene alla fisiologica dinamica della "trattativa". Ci si chiede, però, se, in caso di perdurante divergenza, il giudice possa valutare la congruità della somma offerta dall'imputato, quantunque inferiore da quella richiesta dalla parte civile. Così, in effetti, dovrebbe essere, perchè, diversamente opinando , la possibilità dell'imputato di poter usufruire della causa estintiva qui in esame sarebbe totalmente rimessa al volere del danneggiato-persona offesa la cui richiesta, in ordine al quantum, potrebbe essere esagerata e sproporzionata rispetto al reale danno subito.
Peraltro, le condizioni per l'applicazione dell'estinzione di cui trattasi sono sostanzialmente simili a quelle di cui all'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p.. Pertanto, la giurisprudenza formatasi sul punto ben può essere qui presa come punto di riferimento per dirimerere eventuali problematiche: al riguardo, piu'volte la Corte di Cassazione ha sancito che può essere concessa l'attenuante dell'avvenuta riparazione quando, pur in presenza del rifiuto da parte della parte danneggiata, sia stata comunque effettuata dall'imputato una offerta reale di una somma di denaro che il giudice ritenga essere seria e congrua.
Altra questione è quella relativa alle spese processuali sostenute dalla persona offesa che si sia costituita parte civile. Non di rado, nei reati "bagatellari", le spese processuali superano la somma richiesta per il risarcimento del danno e ciò non facilita di certo l'accordo sul risarcimento del danno se ad esso deve aggiungersi anche la rifusione delle spese processuali fino a quel punto sostenute. L'esperienza finora maturata relativa ai tentativi di conciliazione ai fini della remissione della querela ha dimostrato che da un lato vi è la parte civile che vuole essere tenuta indenne da ogni spesa, mentre l'imputato, che già deve sobbarcarsi l'onorario del suo difensore, trova spesso inaccettabile dover pagare anche l'avvocato del suo avversario , e ciò perchè, in genere, o si professa innocente o comunque reputa che la scelta dell'antogonista di querelarsi non è stata nè doverosa nè opportuna, ma solo la conseguenza, e la spia, di un atteggiamento puntiglioso e vendicativo. 
La lettera della legge ("riparazione del danno cagionato dal reato") non sembra lasciare spazio ad una estensione del danno fino a comprendere anche le spese processuali. Il danno risarcibile è quello, patrimoniale e non patrimoniale , di cui agli artt. 185 c.p. e 2053 c.c. . Le spese processuali sono connesse all'azione giudiziaria intrapresa e non costituiscono una conseguenza immediata e diretta del fatto-reato. D'altro canto, basta por mente che con sentenza l'imputato viene condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile (538 c.p.p.), nonchè al pagamento delle spese processuali (541 c.p.p.) in favore della stessa. 
Dunque: se , nel corso del procedimento, la richiesta avanzata dalla parte civile non costituirà un dato ineludibile ed insindacabile ma l'eventuale minore offerta dell'imputato potrà essere, se ritenuta adeguata e congrua, valutata e valorizzata ai fini dell'estinzione del reato, la definizione alternativa di cui all'art. 35 costituirà un istituto realmente deflattivo, e ciò a maggior ragione se le spese processuali sostenute dalla parte civile resteranno fuori da ogni trattativa e pacificamente a carico della stessa parte civile. 
È chiaro che in tal modo è la parte civile ad essere penalizzata, e ciò è all'evidenza ingiusto, ma tale dato potrebbe da un lato costituire un deterrente alla costituzione stessa ( sarà bene ricordare che il contenzioso qui in esame è quello del giudice di pace, spesso effettivamente bagattellare), dall'altro potrebbe, invece, profilarsi una incostituzionalità della norma nella parte in cui non consente al giudice di pace, con la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato ex art. 35, condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile , salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, esattamente com'è ora nell'applicazione della pena su richiesta ( art. 444 c.p.p.) dopo l'allora pronuncia della Corte Costituzionale del 12 ottobre 1990 n. 443. 

(Francesco Spaccasassi
Giudice del Tribunale di Venezia)

Il Presidente della Repubblica

visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

visto l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

visto l'articolo 14 e seguenti della legge 24 novembre 1999, n. 468, che delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo concernente la competenza in materia penale del giudice di pace, nonché il relativo procedimento e l'apparato sanzionatorio dei reati ad esso devoluti, unitamente alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie secondo i princìpi e i criteri direttivi previsti dagli articoli 15, 16 e 17;

vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 23 giugno 2000;

acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, a norma dell'articolo 21, comma 1, della citata legge 24 novembre 1999, n. 468;

vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ... ;

sulla proposta del Ministro della giustizia;

EMANA

il seguente decreto legislativo:

TITOLO I

PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE

CAPO I

SOGGETTI, GIURISDIZIONE E COMPETENZA

Art. 1

(Organi giudiziari nel procedimento penale davanti al giudice di pace)

Svolgono funzioni giudiziarie nel procedimento penale davanti al giudice di pace:

a) il procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace;

b) il giudice di pace.

Art. 2

(Principi generali del procedimento davanti al giudice di pace)

1. Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal presente decreto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ad eccezione delle disposizioni relative:

a) all'incidente probatorio;

b) all'arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto;

c) alle misure cautelari personali;

d) alla proroga del termine per le indagini;

e) all'udienza preliminare;

f) al giudizio abbreviato;

g) all'applicazione della pena su richiesta;

h) al giudizio direttissimo;

i) al giudizio immediato;

l) al decreto penale di condanna.

2. Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.

Art. 3

(Assunzione della qualità di imputato)

1. Nel procedimento davanti al giudice di pace, assume la qualità di imputato [1] la persona alla quale il reato è attribuito nella citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria o nel decreto di convocazione delle parti emesso dal giudice di pace.

Art. 4

(Competenza per materia)

1. Il giudice di pace è competente [2]:

a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al comma 2 perseguibili a querela di parte, 590, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni, 593 commi 1 e 2, 594, 595 commi 1 e 2, 612 comma 1, 626, 627, 631, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 632, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 633 comma 1, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 635 comma 1, 636, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis 637, 638 comma 1, 639 e 647 del codice penale;

b) per le contravvenzioni previste dagli articoli 689, 690, 691, 726, comma 1, e 731 del codice penale.

2. Il giudice di pace è altresì competente per i delitti, consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti dalle seguenti disposizioni:

1) articoli 25 e 62 comma 3 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 recante "Testo unico in materia di sicurezza";

2) articoli 1094, 1096 e 1119 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, recante "Approvazione del testo definitivo del codice della navigazione";

3) articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1957, n. 918, recante "Approvazione del testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini";

4) articoli 102 e 106 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante "Testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati";

5) articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante "Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali";

6) articolo 15 comma 2 della legge 28 novembre 1965, n. 1329, recante "Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine utensili";

7) articolo 3 della legge 8 novembre 1991, n. 362, recante "Norme di riordino del settore farmaceutico";

8) articolo 51 della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante "Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo";

9) articoli 3, commi 3 e 4, 46 comma 4 e 65 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, recante "Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto ";

10) articoli 18 e 20 della legge 2 agosto 1982, n. 528, recante "Ordinamento del gioco del lotto e misure per il personale del lotto";

11) articolo 17 comma 3 della legge 4 maggio 1990, n. 107, recante "Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati";

12) articolo 15 comma 3 del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, recante "Attuazione delle direttive n. 87/404/CEE e n. 90/488/CEE in materia di recipienti semplici a pressione, a norma dell'articolo 56 della legge 29 dicembre 1990, n. 428";

13) articolo 11 comma 1 del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 313, recante "Attuazione della direttiva 88/378/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti la sicurezza dei giocattoli, a norma dell'articolo 54 della legge 29 dicembre 1990, n. 428";

14) articolo 7 comma 9 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, recante "Attuazione della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole";

15) articoli 186, commi 2 e 6, 187, commi 4 e 5, e 189 comma 6 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante "Nuovo codice della strada";

16) articolo 10 comma 1 del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507, recante "Attuazione della direttiva 90/385/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi";

17) articolo 23 comma 2 del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46, recante "Attuazione della direttiva 90/385/CEE concernente i dispositivi medici".

3. La competenza per i reati di cui ai commi 1 e 2 è tuttavia del tribunale se ricorre una o più delle circostanze previste dagli articoli 1 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 e 3 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni nella legge 25 giugno 1993, n. 205.

4. Rimane ferma la competenza del tribunale per i minorenni.

Art. 5

(Competenza per territorio)

1. Per i reati indicati nell'articolo 4, competente per il giudizio è il giudice di pace del luogo in cui il reato è stato consumato.

2. Competente per gli atti da compiere nella fase delle indagini preliminari è il giudice di pace del luogo ove ha sede il tribunale del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente.

Art. 6

(Competenza per materia determinata dalla connessione)

1. Tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice, si ha connessione solo nel caso di persona imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione.

2. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza del giudice di pace e altri a quella della corte di assise o del tribunale, è competente per tutti il giudice superiore.

3. La connessione non opera se non è possibile la riunione dei processi, né tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di un giudice speciale.

Art. 7

(Casi di connessione davanti al giudice di pace)

1. Davanti al giudice di pace si ha connessione di procedimenti:

a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro;

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione.

Art. 8

(Competenza per territorio determinata dalla connessione)

1. Nei casi previsti dall'articolo 7, se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, la competenza per territorio appartiene per tutti al giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato. Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, questa appartiene al giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi.

Art. 9

(Riunione e separazione dei processi)

1. Nei casi previsti dall'articolo 7, prima di procedere all'udienza di comparizione, il giudice di pace può ordinare la riunione dei processi, quando questa non pregiudica la rapida definizione degli stessi.

2. Anche fuori dei casi previsti dall'articolo 7, il giudice di pace può ordinare la riunione dei processi quando i reati sono commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre o quando più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento o quando una persona è imputata di più reati commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ovvero ogni volta in cui ciò giovi alla celerità e alla completezza dell'accertamento.

3. Prima di procedere all'udienza di comparizione e, comunque, non oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice di pace ordina la separazione dei processi, qualora ritenga che la riunione possa pregiudicare il tentativo di conciliazione, ovvero la rapida definizione di alcuni fra i processi riuniti.

Art. 10

(Astensione e ricusazione del giudice di pace)

1. Sulla dichiarazione di astensione del giudice di pace decide il presidente del tribunale.

2. Sulla ricusazione del giudice di pace decide la corte di appello.

3. Il giudice di pace astenuto o ricusato è sostituito con altro giudice dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario.

4. Qualora non sia possibile la sostituzione prevista dal comma 3, la corte o il tribunale rimette il procedimento al giudice di pace dell'ufficio più vicino.

CAPO II

INDAGINI PRELIMINARI

Art. 11

(Attività di indagine)

1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione del fatto e per l'individuazione del colpevole e ne riferisce al pubblico ministero, con relazione scritta, entro il termine di quattro mesi.

2. Se la notizia di reato risulta fondata, la polizia giudiziaria enuncia nella relazione il fatto in forma chiara e precisa, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, e richiede l'autorizzazione a disporre la comparizione della persona sottoposta ad indagini davanti al giudice di pace.

3. Con la relazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia.

Art. 12

(Notizie di reato ricevute dal pubblico ministero)

1. Salvo che ritenga di richiedere l'archiviazione, il pubblico ministero se prende direttamente notizia di un reato di competenza del giudice di pace ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio, la trasmette alla polizia giudiziaria, perché proceda ai sensi dell'articolo 11, impartendo, se necessario, le direttive. Il pubblico ministero, se non ritiene necessari atti di indagine, formula l'imputazione e autorizza la polizia giudiziaria alla citazione a giudizio dell'imputato.

Art. 13

(Autorizzazione del pubblico ministero al compimento di atti)

1. La polizia giudiziaria può richiedere al pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili ovvero di interrogatori o di confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini. Il pubblico ministero, se non ritiene di svolgere personalmente le indagini o singoli atti, può autorizzare la polizia giudiziaria al compimento degli atti richiesti. Allo stesso modo provvede se viene richiesta l'autorizzazione al compimento di perquisizioni e sequestri nei casi in cui la polizia giudiziaria non può procedervi di propria iniziativa.

Art. 14

(Iscrizione della notizia di reato)

1. Il pubblico ministero provvede all'iscrizione della notizia di reato a seguito della trasmissione della relazione di cui all'articolo 11 ovvero anche prima di aver ricevuto la relazione fin dal primo atto di indagine svolto personalmente.

Art. 15

(Chiusura delle indagini preliminari)

1. Ricevuta la relazione di cui all'articolo 11, il pubblico ministero, se non richiede l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione e autorizzando la citazione dell'imputato.

2. Se ritiene necessarie ulteriori indagini, il pubblico ministero vi provvede personalmente ovvero si avvale della polizia giudiziaria, impartendo direttive o delegando il compimento di specifici atti.

Art. 16

(Durata delle indagini preliminari)

1. Il termine per la chiusura delle indagini preliminari è di quattro mesi dall'iscrizione della notizia di reato.

2. Nei casi di particolare complessità, il pubblico ministero dispone, con provvedimento motivato, la prosecuzione delle indagini preliminari per un periodo di tempo non superiore a due mesi. Il provvedimento è immediatamente comunicato al giudice di pace di cui all'articolo 5 comma 2, che se non ritiene sussistenti, in tutto o in parte, le ragioni rappresentate dal pubblico ministero, entro cinque giorni dalla comunicazione, dichiara la chiusura delle indagini ovvero riduce il termine indicato.

3. Gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini indicati nei commi 1 e 2 non possono essere utilizzati.

Art. 17

(Archiviazione)

1. Il pubblico ministero presenta al giudice di pace richiesta di archiviazione quando la notizia di reato è infondata, nonché nei casi previsti dagli articoli 411 del codice di procedura penale e 125 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché dall'articolo 34 commi 1 e 2 del presente decreto. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali compiuti davanti al giudice.

2. Copia della richiesta è notificata alla persona offesa che nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione abbia dichiarato di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione. Nella richiesta è altresì precisato che nel termine di dieci giorni la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. Con l'opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa indica, a pena di inammissibilità, gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta o le ulteriori indagini necessarie.

3. Il pubblico ministero provvede sempre a norma del comma 2, nei casi in cui la richiesta di archiviazione è successiva alla trasmissione del ricorso ai sensi dell'articolo 26 comma 2.

4. Il giudice, se accoglie la richiesta, dispone con decreto l'archiviazione, altrimenti restituisce, con ordinanza, gli atti al pubblico ministero indicando le ulteriori indagini necessarie e fissando il termine indispensabile per il loro compimento ovvero disponendo che entro dieci giorni il pubblico ministero formuli l'imputazione.

5. Quando è ignoto l'autore del reato si osservano le disposizioni di cui all'articolo 415 del codice di procedura penale.

Art. 18

(Assunzione di prove non rinviabili)

1. Fino all'udienza di comparizione, il giudice di pace dispone, a richiesta di parte, l'assunzione delle prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 467 commi 2 e 3 del codice di procedura penale.

Art. 19

(Provvedimenti del giudice nel corso delle indagini)

1. Nel corso delle indagini e fino al deposito dell'atto di citazione a norma dell'articolo 29 comma 1, competente a disporre il sequestro preventivo e conservativo è il giudice di pace indicato nell'articolo 5 comma 2.

2. Il giudice di cui al comma 1 decide anche sulla richiesta di archiviazione, sull'opposizione di cui all'articolo 263 comma 5 del codice di procedura penale, sulla richiesta di sequestro di cui all'articolo 368 del medesimo codice, nonché sulla richiesta di riapertura delle indagini. Lo stesso giudice è altresì competente a decidere sulla richiesta di autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero di altre forme di telecomunicazione, nonché per i successivi provvedimenti riguardanti l'esecuzione delle operazioni e la conservazione della documentazione.

CAPO III

CITAZIONE A GIUDIZIO

Art. 20

(Citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria)

1. La polizia giudiziaria, sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero, cita l'imputato dinanzi al giudice di pace.

2. La citazione contiene:

a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo;

b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata;

c) l'imputazione formulata dal pubblico ministero e l'indicazione delle fonti di prova di cui si chiede l'ammissione. Se viene chiesto l'esame di testimoni o consulenti tecnici, nell'atto devono essere indicate, a pena di inammissibilità, le circostanze su cui deve vertere l'esame;

d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio, nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito da difensore di ufficio;

f) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagine preliminari è depositato presso la segreteria del pubblico ministero e che le parti e loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia.

3. La citazione è notificata, a cura della polizia giudiziaria, all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno trenta giorni prima dell'udienza.

4. La citazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, da un ufficiale di polizia giudiziaria.

5. La citazione a giudizio è depositata nella segreteria del pubblico ministero unitamente al fascicolo contenente la documentazione relativa alle indagini espletate, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove.

6. La citazione è nulla se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 2, lettere c), d) ed e).

Art. 21

(Ricorso immediato al giudice)

1. Per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa.

2. Il ricorso deve contenere:

a) l'indicazione del giudice;

b) le generalità del ricorrente e, se si tratta di persona giuridica o di associazione non riconosciuta, la denominazione dell'ente, con l'indicazione del legale rappresentante;

c) l'indicazione del difensore del ricorrente e la relativa nomina;

d) l'indicazione delle altre persone offese dal medesimo reato delle quali il ricorrente conosca l'identità;

e) le generalità della persona citata a giudizio;

f) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;

g) i documenti di cui si chiede l'acquisizione;

h) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni e dei consulenti tecnici;

i) la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio.

3. Il ricorso deve essere sottoscritto dalla persona offesa o dal suo legale rappresentante e dal difensore. La sottoscrizione della persona offesa è autenticata dal difensore.

4. Nei casi previsti dagli articoli 120, secondo e terzo comma, e 121 del codice penale, il ricorso è sottoscritto, a seconda dei casi, dal genitore, dal tutore o dal curatore ovvero dal curatore speciale. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 338 del codice di procedura penale.

5. La presentazione del ricorso produce gli stessi effetti della presentazione della querela.

Art. 22

(Presentazione del ricorso)

1. Il ricorso, previamente comunicato al pubblico ministero mediante deposito di copia presso la sua segreteria, è presentato, a cura del ricorrente, con la prova dell'avvenuta comunicazione, nella cancelleria del giudice di pace competente per territorio nel termine di tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato.

2. Se per il medesimo fatto la persona offesa ha già presentato querela, deve farne menzione nel ricorso, allegandone copia e depositando altra copia presso la segreteria del pubblico ministero.

3. Nel caso previsto dal comma 2, il giudice di pace dispone l'acquisizione della querela in originale.

4. Quando si procede in seguito a ricorso sono inapplicabili le diverse disposizioni che regolano la procedura ordinaria.

Art. 23

(Costituzione di parte civile)

1. La costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, con la presentazione del ricorso. La richiesta motivata di restituzione o di risarcimento del danno contenuta nel ricorso è equiparata a tutti gli effetti alla costituzione di parte civile.

Art. 24

(Inammissibilità del ricorso)

Il ricorso è inammissibile:

a) se è presentato oltre il termine indicato dall'articolo 22 comma 1;

b) se risulta presentato fuori dei casi previsti;

c) se non contiene i requisiti indicati nell'articolo 21 comma 2 ovvero non risulta sottoscritto a norma dei commi 3 e 4 del medesimo articolo;

d) se è insufficiente la descrizione del fatto o l'indicazione delle fonti di prova;

e) se manca la prova dell'avvenuta comunicazione al pubblico ministero.

Art. 25

(Richieste del pubblico ministero)

1. Entro dieci giorni dalla comunicazione del ricorso il pubblico ministero presenta le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace.

2. Se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ovvero presentato dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il pubblico ministero esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso.

Art. 26

(Provvedimenti del giudice di pace)

1. Decorso il termine indicato nell'articolo 25, il giudice di pace, anche se il pubblico ministero non ha presentato richieste, provvede a norma dei commi seguenti.

2. Se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, il giudice di pace ne dispone la trasmissione al pubblico ministero per l'ulteriore corso del procedimento.

3. Se il ricorso risulta presentato per un reato che appartiene alla competenza di altro giudice, il giudice di pace ne dispone, con ordinanza, la trasmissione al pubblico ministero.

4. Se riconosce la propria incompetenza per territorio, il giudice di pace la dichiara con ordinanza e restituisce gli atti al ricorrente che, nel termine di venti giorni, ha facoltà di reiterare il ricorso davanti al giudice competente. L'inosservanza del termine è causa di inammissibilità del ricorso.

Art. 27

(Decreto di convocazione delle parti)

1. Se non deve provvedere ai sensi dell'articolo 26, il giudice di pace, entro venti giorni dal deposito del ricorso, convoca le parti in udienza con decreto.

2. Tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza non devono intercorrere più di novanta giorni.

3. Il decreto contiene:

a) l'indicazione del giudice che procede, nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione;

b) le generalità della persona nei cui confronti è stato presentato il ricorso, con l'invito a comparire e l'avvertimento che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

c) l'avviso che ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio nominato nel decreto;

d) la trascrizione dell'imputazione formulata dal pubblico ministero;

e) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste.

4. Il decreto, unitamente al ricorso, è notificato, a cura del ricorrente, al pubblico ministero, alla persona citata in giudizio e al suo difensore almeno venti giorni prima dell'udienza. Entro lo stesso termine il ricorrente notifica il decreto alle altre persone offese di cui conosca l'identità.

5. La convocazione è nulla se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 3 lettere a),b), c), d).

Art. 28

(Pluralità di persone offese)

1. Il ricorso presentato da una fra più persone offese non impedisce alle altre di intervenire nel processo, con l'assistenza di un difensore e con gli stessi diritti che spettano al ricorrente principale.

2. Le persone offese intervenute possono costituirsi parte civile prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

3. La mancata comparizione delle persone offese, alle quali il decreto sia stato regolarmente notificato ai sensi dell'articolo 27 comma 4, equivale a rinuncia al diritto di querela ovvero alla remissione della querela, qualora sia stata già presentata.

CAPO IV

GIUDIZIO

Art. 29

(Udienza di comparizione)

1. Almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, il pubblico ministero o la persona offesa nel caso previsto dall'articolo 21, depositano nella cancelleria del giudice di pace l'atto di citazione a giudizio con le relative notifiche.

2. Fuori dei casi previsti dagli articoli 20 e 21, le parti che intendono chiedere l'esame dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210 del codice di procedura penale devono, a pena di inammissibilità, almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, depositare in cancelleria le liste con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame.

3. Nei casi in cui occorre rinnovare la convocazione o la citazione a giudizio ovvero le relative notificazioni, vi provvede il giudice di pace, anche d'ufficio.

4. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l'udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell'attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione.

5. In caso di conciliazione è redatto processo verbale attestante la remissione di querela o la rinuncia al ricorso di cui all'articolo 21 e la relativa accettazione. La rinuncia al ricorso produce gli stessi effetti della remissione della querela.

6. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento l'imputato può presentare domanda di oblazione.

7. Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, se può procedersi immediatamente al giudizio, il giudice ammette le prove richieste escludendo quelle vietate dalla legge, superflue o irrilevanti e invita le parti ad indicare gli atti da inserire nel fascicolo per il dibattimento, provvedendo a norma dell'articolo 431 del codice di procedura penale. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva, nonché della documentazione allegata al ricorso di cui all'articolo 21.

8. Se occorre fissare altra udienza per il giudizio, il giudice autorizza ciascuna parte alla citazione dei propri testimoni o consulenti tecnici, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti. La parte che omette la citazione decade dalla prova.

Art. 30

(Udienza di comparizione a seguito di ricorso al giudice da parte della persona offesa)

1. La mancata comparizione all'udienza del ricorrente o del suo procuratore speciale non dovuta ad impossibilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore determina l'improcedibilità del ricorso, salvo che l'imputato o la persona offesa intervenuta e che abbia presentato querela chieda che si proceda al giudizio.

2. Con l'ordinanza con cui dichiara l'improcedibilità del ricorso ai sensi del comma 1, il giudice di pace condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni in favore della persona citata in giudizio che ne abbia fatto domanda.

3. Se il reato contestato nell'imputazione non rientra tra quelli per cui è ammessa la citazione a giudizio su istanza della persona offesa, il giudice di pace trasmette gli atti al pubblico ministero, salvo che l'imputato chieda che si proceda ugualmente al giudizio.

Art. 31

(Fissazione di nuova udienza a seguito di impossibilità a comparire)

1. In caso di dichiarazione di improcedibilità ai sensi dell'articolo 30 comma 1, il ricorrente può presentare istanza di fissazione di nuova udienza se prova che la mancata comparizione è stata dovuta a caso fortuito o a forza maggiore.

2. L'istanza è presentata al giudice di pace entro dieci giorni dalla cessazione del fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. Il termine è stabilito a pena di decadenza.

3. Se accoglie l'istanza, il giudice di pace convoca le parti per una nuova udienza ai sensi dell'articolo 27, invitando il ricorrente a provvedere alle notifiche a norma del comma 4 dello stesso articolo.

4. Contro il decreto motivato che respinge la richiesta di fissazione di nuova udienza può essere proposto ricorso al tribunale in composizione monocratica, che decide con ordinanza inoppugnabile.

Art. 32

(Dibattimento)

1. Sull'accordo delle parti, l'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private può essere condotto dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori.

2. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, compresi quelli relativi agli atti acquisiti a norma dell'articolo 29 comma 7.

3. Il verbale d'udienza, di regola, è redatto solo in forma riassuntiva.

4. La motivazione della sentenza è redatta dal giudice in forma abbreviata e depositata nel termine di quindici giorni dalla lettura del dispositivo. Il giudice può dettare la motivazione direttamente a verbale.

5. In caso di impedimento del giudice la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale, previa menzione della causa di sostituzione.

Art. 33

(Sentenza di condanna alla pena della permanenza domiciliare)

1. Subito dopo la pronuncia della sentenza di condanna alla pena della permanenza domiciliare, l'imputato o il difensore munito di procura speciale, possono chiedere l'esecuzione continuativa della pena.

2. Il giudice, se ritiene di poter applicare in luogo della permanenza domiciliare la pena del lavoro di pubblica utilità, indica nella sentenza il tipo e la durata del lavoro di pubblica utilità che può essere richiesto dall'imputato o dal difensore munito di procura speciale.

3. Nel caso in cui l'imputato o il difensore formulino le richieste di cui ai commi 1 e 2, il giudice può fissare una nuova udienza a distanza di non più di 10 giorni, sempre che sussistano giustificati motivi.

4. Acquisite le richieste, il giudice integra il dispositivo della sentenza e ne dà lettura.

CAPO V

DEFINIZIONI ALTERNATIVE DEL PROCEDIMENTO

Art. 34

(Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto)

1. Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.

2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento.

3. Se è stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono.

Art. 35

(Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie)

1. Il giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.

2. Il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al precedente comma solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.

3. Il giudice di pace può disporre la sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se l'imputato chiede nell'udienza di comparizione di poter provvedere agli adempimenti di cui al comma 1 e dimostri di non averlo potuto fare in precedenza; in tal caso, il giudice può imporre specifiche prescrizioni.

4. Con l'ordinanza di sospensione, il giudice incarica un ufficiale di polizia giudiziaria o un operatore di servizio sociale dell'ente locale di verificare l'effettivo svolgimento delle attività risarcitorie e riparatorie, fissando nuova udienza ad una data successiva al termine del periodo di sospensione.

5. Qualora accerti che le attività risarcitorie o riparatorie abbiano avuto esecuzione, il giudice, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato enunciandone la causa nel dispositivo.

6. Quando non provvede ai sensi dei commi 1 e 5, il giudice dispone la prosecuzione del procedimento.

CAPO VI

DISPOSIZIONI SULLE IMPUGNAZIONI

Art. 36

(Impugnazione del pubblico ministero)

1. Il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa.

2. Il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace.

Art. 37

(Impugnazione dell'imputato)

1. L'imputato può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; può proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno.

2. L'imputato può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento.

Art. 38

(Impugnazione del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato)

1. Il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato a norma dell'articolo 21 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero.

2. Con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione, il ricorrente è condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile. Se vi è colpa grave, il ricorrente può essere condannato al risarcimento dei danni causati all'imputato e al responsabile civile.

Art. 39

(Giudizio di appello)

1. Competente per il giudizio di appello è il tribunale del circondario in cui ha sede il giudice di pace che ha pronunciato la sentenza impugnata. Il tribunale giudica in composizione monocratica.

2. Oltre che nei casi previsti dall'articolo 604 del codice di procedura penale, il giudice d'appello dispone l'annullamento della sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di pace, anche quando l'imputato, contumace in primo grado, prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o per forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del provvedimento di citazione a giudizio, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l'atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161 comma 4 e 169 del codice di procedura penale, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento.

CAPO VII

DISPOSIZIONI SULL'ESECUZIONE

Art. 40

(Giudice dell'esecuzione)

1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice di pace che l'ha emesso.

2. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da diversi giudici di pace, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo.

3. Se i provvedimenti sono stati emessi dal giudice di pace e da altro giudice ordinario, è competente in ogni caso quest'ultimo.

4. Se i provvedimenti sono stati emessi dal giudice di pace e da un giudice speciale, è competente per l'esecuzione il tribunale in composizione collegiale nel cui circondario ha sede il giudice di pace.

5. Il giudice indicato nei commi precedenti è competente anche se il provvedimento da eseguire è stato comunque riformato.

Art. 41

(Procedimento di esecuzione)

1. Salvo quanto previsto nel comma 2, nel procedimento di esecuzione davanti al giudice di pace si osservano le disposizioni di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale.

2. Contro il decreto del giudice di pace che dichiara inammissibile la richiesta formulata nel procedimento di esecuzione e contro l'ordinanza che decide sulla richiesta, l'interessato può proporre, entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento, ricorso per motivi di legittimità al tribunale in composizione monocratica nel cui circondario ha sede il giudice di pace.

3. Il tribunale decide con ordinanza non impugnabile. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale.

Art. 42

(Esecuzione delle pene pecuniarie)

1. Le condanne a pena pecuniaria si eseguono a norma dell'articolo 660 del codice di procedura penale, ma l'accertamento della effettiva insolvibilità del condannato è svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione che adotta altresì i provvedimenti in ordine alla rateizzazione, ovvero alla conversione della pena pecuniaria.

Art. 43

(Esecuzione della pena della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità)

1. La sentenza penale irrevocabile è trasmessa per estratto a cura della cancelleria al pubblico ministero del circondario ove ha sede l'ufficio del giudice individuato in base all'articolo 40.

2. Il pubblico ministero, emesso l'ordine di esecuzione, lo trasmette immediatamente, unitamente all'estratto della sentenza di condanna contenente le modalità di esecuzione della pena, all'ufficio di pubblica sicurezza del comune in cui il condannato risiede o, in mancanza di questo, al comando dell'arma dei carabinieri territorialmente competente.

3. Appena ricevuto il provvedimento di cui al comma che precede l'organo di polizia ne consegna copia al condannato ingiungendogli di attenersi alla prescrizioni in esso contenute. Qualora il condannato sia detenuto o internato, copia dell'ordine di esecuzione è notificato altresì al direttore dell'istituto o della sezione il quale informa anticipatamente l'organo di polizia della dimissione del condannato. In tal caso, la pena comincia a decorrere dal primo giorno di permanenza domiciliare o di lavoro sostitutivo successivo a quello della dimissione.

Art. 44

(Modifica delle modalità di esecuzione della permanenza domiciliare e

del lavoro di pubblica utilità)

1. Le modalità di esecuzione della permanenza domiciliare e del divieto di cui all'articolo 53, comma 3, eventualmente imposto nonché del lavoro di pubblica utilità stabilite nella sentenza emessa dal giudice possono essere modificate per motivi di assoluta necessità dal giudice osservando le disposizioni dell'articolo 666 del codice di procedura penale.

2. La richiesta di modifica non sospende l'esecuzione delle pene; in caso di assoluta urgenza, le modifiche possono essere adottate con provvedimento provvisorio revocabile nelle fasi successive del procedimento.

Art. 45

(Certificati del casellario giudiziale richiesti dal privato)

1. Nei certificati del casellario giudiziale rilasciati a norma dell'articolo 689 del codice di procedura penale non sono riportate le iscrizioni relative alle sentenze emesse dal giudice di pace.

Art. 46

(Eliminazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni relative a sentenze

del giudice di pace in materia penale)

1. Fermo quanto previsto dall'articolo 687 del codice di procedura penale, sono altresì eliminate le iscrizioni relative:

a) alle sentenze del giudice di pace di proscioglimento per difetto di imputabilità, trascorsi tre anni dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile;

b) alle sentenze del giudice di pace di condanna, trascorsi cinque anni dal giorno in cui la sanzione è stata eseguita se è stata inflitta la pena pecuniaria, o dieci anni se è stata inflitta una pena diversa sempre che nei periodi indicati non sia stato commesso un ulteriore reato.

CAPO VIII

NORME DI COORDINAMENTO E DI ATTUAZIONE

Art. 47

(Modifica all'articolo 6 del codice di procedura penale)

1. Nell'articolo 6 del codice di procedura penale, dopo le parole: "alla competenza della corte di assise" sono aggiunte le seguenti: "o del giudice di pace.".

Art. 48

(Competenza del giudice di pace dichiarata da altro giudice)

1. In ogni stato e grado del processo, se il giudice ritiene che il reato appartiene alla competenza del giudice di pace, lo dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Le prove acquisite dal giudice incompetente sono utilizzabili nel processo davanti al giudice di pace.

Art. 49

(Citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria)

1. Ai fini dell'emissione della citazione a giudizio di cui all'articolo 20, il pubblico ministero richiede al giudice di pace di indicare il giorno e l'ora della comparizione.

2. La richiesta del pubblico ministero e l'indicazione del giudice di pace sono comunicate anche con mezzi telematici.

Art. 50

(Delegati del procuratore della Repubblica nel procedimento penale davanti al giudice di pace)

1. Nei procedimenti penali davanti al giudice di pace, le funzioni del pubblico ministero possono essere svolte, per delega del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario:

a) nell'udienza dibattimentale, da uditori giudiziari, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio, da ufficiali di polizia giudiziaria diversi da coloro che hanno preso parte alle indagini preliminari, o da laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398;

b) per gli atti del pubblico ministero previsti dagli articoli 14 e 25, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio;

c) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, nei procedimenti di esecuzione ai fini dell'intervento di cui all'articolo 655, comma 2, del medesimo codice, e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio.

2. Nei casi indicati nel comma 1, la delega è conferita in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento.

3. La delega è revocabile nei soli casi in cui il codice di procedura penale prevede la sostituzione del pubblico ministero.

4. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 162, commi 1, 3 e 4, del decreto legislativo 25 luglio 1989, n. 271.

Art 51

(Disposizioni regolamentari e sulla tenuta dei registri)

1. Con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centocinquanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto legislativo, il ministro della giustizia adotta le disposizioni regolamentari relative ai procedimenti penali davanti al giudice di pace, che concernono:

a) le modalità di formazione e tenuta dei fascicoli degli uffici giudiziari;

b) il rilascio da parte degli uffici dei giudici di pace dei certificati del casellario giudiziale di cui all'articolo 689 del codice di procedura penale;

c) le altre attività necessarie per l'attuazione del presente decreto legislativo.

2. Il parere del Consiglio di Stato sul regolamento previsto nel comma 1 è reso entro trenta giorni dalla richiesta.

3. La disciplina sulla tenuta in forma automatizzata dei registri e delle altre forme di registrazione in materia penale è adottata con decreto del ministro della giustizia.

TITOLO II

SANZIONI APPLICABILI DAL GIUDICE DI PACE

Art. 52

(Sanzioni)

1. Ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti.

2. Per gli altri reati di competenza del giudice di pace le pene sono così modificate:

a) quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire cinquecentomila a cinque milioni; se la pena detentiva è superiore nel massimo a sei mesi, si applica la predetta pena pecuniaria o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità per un periodo da dieci giorni a tre mesi;

b) quando il reato è punito con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi;

c) quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto congiunta con quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione e cinquecentomila a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da un mese a sei mesi.

3. Nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, il giudice applica la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilità, salvo che sussistano circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti.

4. La disposizione del comma 3 non si applica quando il reato è punito con la sola pena pecuniaria nonché nell'ipotesi indicata nel primo periodo della lettera a) del comma 2.

Art. 53

(Obbligo di permanenza domiciliare)

1. La pena della permanenza domiciliare comporta l'obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica; il giudice, avuto riguardo alle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del condannato, può disporre che la pena venga eseguita in giorni diversi della settimana ovvero, a richiesta del condannato, continuativamente.

2. La durata della permanenza domiciliare non può essere inferiore a sei giorni né superiore a quarantacinque; il condannato non è considerato in stato di detenzione.

3. Il giudice può altresì imporre al condannato, valutati i criteri di cui all'articolo 133, comma secondo, del codice penale, il divieto di accedere a specifici luoghi nei giorni in cui non è obbligato alla permanenza domiciliare, tenuto conto delle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del condannato.

4. Il divieto non può avere durata superiore al doppio della durata massima della pena della permanenza domiciliare e cessa in ogni caso quando è stata interamente scontata la pena della permanenza domiciliare.

Art. 54

(Lavoro di pubblica utilità)

1. Il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su richiesta dell'imputato.

2. Il lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato

3. L'attività viene svolta nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali.

4. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore.

5. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.

6. Fermo quanto previsto dai commi precedenti, le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate dal Ministro della giustizia con decreto d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 28

Art. 55

(Conversione delle pene pecuniarie)

1. Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalità indicate nell'articolo 54.

2. Ai fini della conversione un giorno di lavoro sostitutivo equivale a lire venticinquemila di pena pecuniaria.

3. Il condannato può sempre far cessare la pena del lavoro sostitutivo pagando la pena pecuniaria, dedotta la somma corrispondente alla durata del lavoro prestato.

4. Quando è violato l'obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell'obbligo di permanenza domiciliare secondo i criteri di ragguaglio indicati nel comma 6.

5. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo, le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità si convertono nell'obbligo di permanenza domiciliare con le forme e nei modi previsti dall'articolo 53, comma 1; in questo caso non è applicabile al condannato il divieto di cui all'articolo 53, comma 3.

6. Ai fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a lire cinquantamila di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere superiore a quarantacinque giorni.

Art. 56

(Violazione degli obblighi)

1. Il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a permanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità o che lo abbandona è punito con la reclusione fino ad un anno.

2. Alla stessa pena soggiace il condannato che viola reiteratamente senza giusto motivo gli obblighi o i divieti inerenti alle pene della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità.

3. In caso di condanna non sono applicabili le sanzioni sostitutive previste dagli articoli 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 57

(Competenza)

1. La competenza per il delitto di cui all'articolo 56 è attribuita al tribunale in composizione monocratica.

Art. 58

(Effetti delle sanzioni e criteri di ragguaglio)

1. Per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria.

2. Quando per qualsiasi effetto giuridico si deve eseguire un ragguaglio tra la pena detentiva e le pene di cui agli articoli 53 e 54, un giorno di pena detentiva equivale a due giorni di permanenza domiciliare o tre giorni di lavoro di pubblica utilità.

3. Un giorno di pena detentiva equivale a lire settantacinquemila di pena pecuniaria irrogata in luogo della pena detentiva a norma dell'articolo 52.

4. In deroga a quanto stabilito nell'articolo 78, primo comma, numero 3 del codice penale, la pena della multa o dell'ammenda non può comunque eccedere la somma di lire quindici milioni, ovvero la somma di lire sessanta milioni se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel secondo comma dell'articolo 133-bis dello stesso codice.

Art. 59

(Controllo sull'osservanza delle sanzioni dell'obbligo

di permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità)

1. L'ufficio di pubblica sicurezza del luogo di esecuzione della pena o, in mancanza dell'ufficio di pubblica sicurezza, il comando dell'arma dei Carabinieri territorialmente competente effettua il controllo sull'osservanza degli obblighi connessi alla pena dell'obbligo di permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità con le modalità stabilite dall'articolo 65, commi 1 e 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, in quanto applicabile.

Art. 60

(Esclusione della sospensione condizionale della pena)

1. Le disposizioni di cui agli articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace.

Art. 61

(Interruzione della prescrizione)

1. Il corso della prescrizione per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell'articolo 160 del codice penale, dalla citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria, dal decreto di convocazione delle parti emesso dal giudice di pace.

Art. 62

(Inapplicabilità delle altre misure sostitutive della detenzione)

1. Le sanzioni sostitutive previste dagli articoli 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, non si applicano ai reati di competenza del giudice di pace.

TITOLO III

DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

Art. 63

(Norme applicabili da parte di giudici diversi)

1. Nei casi in cui i reati indicati nell'articolo 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo II del presente decreto legislativo, nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articoli 33, 34, 35, 43 e 44.

2. Nei certificati del casellario giudiziale rilasciati a norma dell'articolo 689 del codice di procedura penale non sono riportate le iscrizioni relative ai reati di cui al comma 1; si osservano, altresì, le disposizioni dell'articolo 46.

Art. 64

(Norma transitoria)

1. Le norme del presente decreto legislativo si applicano ai procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 4, commi 1 e 2, commessi dopo la sua entrata in vigore.

2. Ferma l'applicabilità dell'articolo 2, comma terzo, del codice penale, nei procedimenti relativi a reati commessi prima dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo si osservano le disposizioni dell'articolo 63, commi 1 e 2; quando si tratta di reati commessi dopo la pubblicazione del presente decreto si osservano anche le disposizioni del titolo I se alla data di entrata in vigore non è ancora avvenuta l'iscrizione della notizia di reato.

Art. 65

(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto legislativo entra in vigore il centottantesimo giorno successivo alla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.  

 


 

 


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